Vita e Natura. Etica ed Ecologia del Diritto.

Vita e Natura. Etica ed ecologia del diritto, ovvero accogliere e farsi scuotere dal Perturbante, destigmatizzando la diversità in un percorso di cura che restituisce la parola ai silenziati dalla presunzione della normalità.

I Club, comunità relazionali nella condivisione, sono pronti a cambiare la cultura del diritto individuale ed egocentrico, estraneo alla centralità del bene comune?

Come fare tra scienza, esperienza, politica ed apprendimento?

Provo a fare alcune considerazioni sul tema dei diritti, in modo modesto e balbettante, partendo da alcuni mie opinioni e sentimenti che derivano dalla mia esperienza.

Quando si parla di diritti in termini generali, spesso scatta un riflesso moralistico che richiama subito ai doveri, pensando generalmente ai diritti come a una possibilità di avere cose materiali e di averne di più, per soddisfare bisogni fondamentalmente egoistici e individualistici. Capita di meno di pensare ai diritti nel loro senso etico ed ecologico, inteso come riconoscimento del valore, della dignità, della libertà, delle potenzialità, dei legittimi desideri e aspirazioni di ogni essere umano. In questo senso non si tratta di attribuire nuovi diritti, di dare qualcosa in più, ma solo di riconoscere diritti fondamentali che sono già insiti nell’essere umano in quanto tale. Diritti quindi che sono inscritti in ogni essere umano e possono essere non elargiti, ma solamente riconosciuti.

A mio parere in Italia vi è stata una sorta di deriva individualistica della politica in fatto di diritti sociali. Provo a fare alcuni esempi di questa politica.

Politiche per la famiglia.  

In Italia non esiste il cumulo dei redditi familiari su cui determinare l’imposta.  

Se due coniugi hanno un imponibile ognuno di 30.000 euro, sulla base degli attuali scaglioni di reddito e relative aliquote pagheranno complessivamente meno imposte di un monoreddito di 60.000 euro. In questo caso non viene considerato il bisogno e il diritto del nucleo familiare, bensì il diritto del singolo individuo ad essere tassato sul suo reddito individuale. Da qui la ricorrente proposta, mai attuata, di introdurre il “Quoziente familiare” che consiste nella suddivisione del reddito familiare complessivo fra il numero dei componenti al fine di abbattere le aliquote e sostenere realmente in tal modo la comunità familiare a partire dai suoi bisogni materiali. Per tornare al titolo del seminario ritengo che sostenere le comunità familiari significhi dare centralità al bene comune e contrastare una cultura dei diritti individuale ed egocentrica.

Anche i sindacati stessi hanno un poco ceduto a questa deriva individualistica.   Pensiamo ai cosiddetti “diritti acquisiti” che sarebbero sacri, intoccabili. Pensiamo alle pensioni basate sul sistema retributivo, calcolate non sui contributi versati, ma sull’ultima busta paga ricevuta, pensioni retributive che sono ancora la maggior parte, anche se da circa vent’anni è partito il regime contributivo.    Che bisogno hanno due coniugi anziani, magari pensionati del pubblico impiego, che ricevono ognuno 2.000 euro di pensione quando in base al calcolo contributivo ne meriterebbero 1.400,00? E quando qualcuno timidamente parla di un contributo di solidarietà sulle pensioni retributive medio-alte, per redistribuire verso le pensioni minime da fame, o verso una maggior giustizia redistributiva a favore delle generazioni più giovani, anche i sindacati affermano la sacra intangibilità dei diritti acquisiti, anche quando essi sono in buona parte, anche se legittimati dalle norme vigenti, una sorta di privilegi.

Assistiamo a un mondo rovesciato, dove le fasce di reddito più alto sono concentrate fra gli anziani, che non han più bisogno di farsi una casa, o di crescere i figli, mentre i giovani si trovano precarizzati, con paghe misere, con il miraggio di farsi una casa, con la responsabilità magari di crescere una famiglia.   Un mondo rovesciato, dove si stenta a vedere la solidarietà intergenerazionale.

Pensiamo a quanta retorica in ogni tornata elettorale vien fatta sulla FAMIGLIA, e a quanto di concreto in cinquant’anni si è fatto per sostenere le responsabilità genitoriali e familiari.  In Italia, fra i maggiori paesi europei, siamo molto lontani, direi agli ultimi posti, per quanto riguarda politiche di reale attenzione e sostegno alle comunità familiari.

Guardando poi all’attualità del dibattito pubblico sui diritti si assiste a una specie di contrapposizione fra Diritti Sociali (al lavoro, al reddito, alla salute) e Diritti Civili, che riguardano il riconoscimento della libertà e della dignità di ogni essere umano. Si parla dei Diritti civili come qualcosa di radical-chic, di snob, di eccessivo, che toglierebbe spazio ai Diritti sociali, quelli si problemi e bisogni cui porre tutta l’attenzione. Ed ecco il benaltrismo, ben altre sono le urgenze, i reali problemi e bisogni dei cittadini italiani.

Riscontro poi un’altra opinione, abbastanza diffusa ad esempio in movimenti cattolici integralisti e reazionari, ripresa anche da alcuni partiti politici, secondo la quale il riconoscimento e l’estensione di diritti come ad esempio il matrimonio egualitario per le persone omosessuali, o il riconoscimento della possibilità di adottare per le persone single o omosessuali, o il riconoscimento della stepchild adoption, che sarebbe la possibilità in una coppia omosex , per chi dei due non è il genitore biologico, di adottare il figlio del compagno o compagna; il riconoscere questi diritti verrebbe in qualche modo a ledere, a interferire, a inficiare i diritti riconosciuti alle coppie e famiglie eterosessuali.

In questi casi si assiste a un giudizio perentorio ed escludente. Quale diritto e potestà avrei io, persona eterosessuale, di conculcare alla radice la realizzazione di ogni desiderio di genitorialità, laddove si presenti, in una coppia o in un single gay o lesbica, in nome della mia presunta “normalità” e in nome dei miei presunti “diritti naturali”? Quale diritto ho io, persona eterosessuale, di considerare un capriccio, un atto addirittura egoistico, un desiderio e un progetto di genitorialità da parte di una persona gay, di giudicarlo appunto come un voler oltrepassare i limiti naturali? La stessa gestazione per altri, o maternità surrogata, dagli ambienti reazionari e oltranzisti definita in modo violento e dispregiativo come “utero in affitto”, non è vero che tende sempre a mercificare il corpo della donna, esistono leggi negli Stati Uniti e in Canada che regolano il fenomeno sulla base di principi etici rigorosi che parlano di donne sia donatrici che portatrici che si rendono disponibili in modo altruistico per fare un atto di autentica donazione. Allora anche su questo argomento eticamente molto delicato come la gestazione per altri dovremmo porci con attenzione, con rispetto, senza lanciare accuse violente, volgari, utilizzate strumentalmente per ribadire le proprie sicurezze e chiusure ideologiche e per infangare chi fa ricorso a queste pratiche.

Allora allargare i diritti  civili (penso anche allo ius soli, ancora vergognosamente al palo) non lede diritti altrui, non sminuisce, non diminuisce, non toglie risorse per i diritti altrui, ma non fa altro che rendere giustizia a ogni persona, e non fa altro che riconoscere diritti che non devono essere elargiti per bontà nostra, ma sono inscritti nel valore sacro e nella dignità di ogni essere umano e attendono solo di essere riconosciuti dalla politica e dallo Stato.

Infine vorrei fare un accenno alla nostra attualità trentina dove si sta discutendo un disegno di legge provinciale presentato da Fratelli d’Italia che vuole in sostanza impedire che nelle scuole si educhi alle relazioni affettive, sessuali, alle differenze e alle relazioni di genere, alle differenti identità sessuali. Mi è sembrato di ritornare ai primi anni settanta, quando anche nelle scuole medie del mio paese di Mori (TN) c’erano alcuni professori più aperti che cercavano di parlare agli studenti dei venti nuovi che arrivavano dal’68, come l’insegnamento di don Milani, e mio padre, democristiano, assieme ad altri notabili democristiani del paese, si era battuto in pubblico contro questa pericolosa turbativa delle nostre tradizioni, contro il “pericolo di indottrinamento rosso” costituito da queste teste calde di insegnanti.

Ma vengo al nocciolo di questo tipo di insegnamento nelle scuole che il Disegno di Legge vorrebbe a tutti i costi impedire.

Si vuole contrapporre la responsabilità, la libertà, la potestà dei genitori di educare come meglio credono i loro figli, come fosse una loro prerogativa esclusiva, contrapposta alla scuola vista non come importante agenzia educativa, ma tendenzialmente come nemica della famiglia, una scuola che non dovrebbe nemmeno nominare certi argomenti, dovrebbe trasmettere nozioni ma stare zitta su argomenti come l’educazione alle relazioni e alle differenze di genere e di identità sessuale. Come se questi argomenti non avessero una grande valenza sociale, di convivenza civile, ed esulassero completamente da fenomeni come la violenza di genere nascosta fra le mura domestiche, i femminicidi, le grandi sperequazioni fra genere maschile e femminile, il bullismo omo-transfobico.     Questa è una legge fortemente regressiva, non penso di esagerare nel definirla una legge barbara.

Io ritengo, come genitore direttamente interessato, che la costruzione dell’identità personale, nella quale parte importante è l’identità sessuale, avvenga in un bambino o bambina per rispecchiamento in modelli di comportamento, di modo di essere, che sono socialmente riconosciuti, ai quali il sistema scolastico, sociale, familiare, attribuisce valore, considera degni di esistere. Ma come può avvenire nei bambini LGBT+ questo rispecchiamento, che li farebbe esistere, che li trarrebbe fuori dall’invisibilità, se il loro modo di essere non deve essere nemmeno nominato, considerato non degno di essere mai evocato.

Allora gli educatori, gli insegnanti, dovrebbero non aspettare le domande dei bambini, ma e-ducare, che etimologicamente (e-ducere) significa trarre fuori dall’ignoranza, evocare le parole, i loro significati, dire che esistono tante differenze negli esseri umani, dire che ci sono diversi modi di essere e di amare. Tutti i bambini e le bambine dovrebbero imparare che esiste una parte di donne, benché minoritaria, che si innamora di un’altra donna, esiste che un uomo possa innamorarsi, provare attrazione affettiva, sentimentale, erotica, per un altro uomo, e che queste non sono cose in sé sbagliate, o sporche, o frutto di scelte, ma modi di essere, che esistono, sono costitutivi della persona, rispondenti alla natura dell’essere umano, e vanno rispettati.

Allora occorre parlare di queste possibilità, di queste differenze, nella scuola oltre che in famiglia, perché la scuola non è nemica della famiglia, certo deve fare una alleanza educativa assieme alla famiglia, ma la scuola può invece essere anche una garanzia a tutela di tutti i minori, perché non tutti han la fortuna di avere genitori in grado di trovare le parole su questi argomenti. Come genitore Agedo io mi oppongo a una concezione secondo cui i figli son proprietà dei genitori e secondo cui di affettività e di sessualità si debba parlare solo dentro la famiglia, come se il modo di vivere l’affettività e la sessualità non avesse grandi implicazioni sociali e comunitarie.  

In Italia solo il 36% di tutte le persone gay o lesbiche si rivela ai propri genitori in tutto l’arco della vita. Questo è un dato indicativo su quanta strada ci sia da fare, proprio dentro le famiglie, per riconoscere e per accogliere questi figli.

Allora la scuola, anziché considerarla un incubatore di chissà quali fantomatiche ideologie, può essere un baluardo di democrazia, fattore di crescita umana e civile, scuola di educazione al rispetto di tutte le differenze umane, all’uguaglianza, alla civile convivenza, mediante una conoscenza, una educazione che sia accessibile a tutti. 

 Perché, noi ci chiediamo, troppo spesso la socializzazione, l’approccio all’omosessualità, fin dalla scuola primaria, avvenga dall’ascolto, nel gruppo dei pari, dei termini “frocio”, “recchione”, anziché da una spiegazione chiara, serena, preventiva, dell’insegnante?

Un’ ultima considerazione sul perchè il riconoscimento dei diritti è per me di grande importanza. Ci sono condizioni di vita, modi di essere, essere umani la cui esistenza rischia di essere invisibile, è più corretto dire è invisibilizzata proprio perchè non c’è niente, non dico una legge, ma nemmeno una parola che parli di loro, che possa renderli riconoscibili e riconosciuti. Allora il riconoscimento dei diritti è fondamentale perchè nel momento in cui evoca, nomina, riconosce, dà valore a un gruppo, a una persona, alla sua situazione esistenziale, spesso caratterizzata da sofferenza, da marginalità, da esclusione, in quel momento è come se facesse entrare quella persona in un cono di luce traendola dall’oscurità, dall’invisibilità, dall’insignificanza, dandole così riconoscibilità, valore, dignità.    Penso che questo sia un effetto importante del diritto e del riconoscimento dei diritti.

Mario Caproni

Servitore-Insegnante del Club di Ecologia Familiare “Alice” di Mori  (TN)