Convivium per Tiziana

15 dicembre 2022 – 15 dicembre 2023

Convivium, con i vivi, dal latino convivium, derivato di convivĕre «vivere insieme», è una parola che nella nostra cultura assume il significato di banchetto, festa. La convivialità, il cui senso è in sintonia con l’agápe cristiano – l’amore disinteressato – , reintroduce lo spirito del dono nella dimensione sociale e si ricollega in tal modo alla philía – l’amicizia – necessaria all’esistenza di ogni società umana. Oggi abbiamo deciso di chiamare così questo incontro perché non lo intendiamo come commemorazione di qualcuno che non c’è più, ma come festa in nome di chi ci spinge a continuare con passione un impegno professionale e soprattutto umano, consapevoli del fatto che la scienza (anche quella alcologica) assomiglia alla sua forma più elevata quando è praticata in prima persona, quando ognuno e ognuna di noi mette in discussione sé stesso e sé stessa per ciò in cui crede. Tiziana, nel suo agire, non ha fatto altro se non creare cultura – o, per meglio dire, contro-cultura – e, usando le parole di Byung Chul-Han (filosofo coreano naturalizzato tedesco), l’origine della cultura non è la guerra bensì la festa, non l’arma bensì la decorazione1. Eccoci, dunque, qui a decorare e festeggiare un’esperienza che portiamo avanti con dedizione e divertimento, consapevoli che non si può procedere secondo finalità rigide e obiettivi prefissati – quasi impossibili quando si parla di alcologia – ma tentando di navigare a vista senza farci abbattere, “serenamente impotenti” esattamente come ci ha insegnato Tiziana. La libertà dallo scopo, nonostante un po’ spaventi e sbigottisca, conferisce all’esistenza umana splendore e festosità2.

E l’andatura, emancipata dallo scopo, dal procedere spediti verso un obiettivo, si trasforma in una danza: “Che cos’è la danza se non liberazione del corpo dai suoi movimenti utilitari, esibizione dei gesti nella loro pura inoperosità?”. Anche le mani, liberate da qualsiasi scopo, non afferrano più: giocano. Oppure modellano gesti puri che non suggeriscono nulla3.

Divenendo critica ad una cultura che spinge verso l’utilitarismo estremo e la trasformazione di ogni aspetto esistenziale in bene di consumo, la nostra conviviali, indissolubilmente legata alla comunità e alle relazioni, assomiglia così alla società conviviale di Ivan Illich4. Ogni scoperta (di qualunque tipo) in questo mondo comporta una divisione del lavoro, una fissazione dei valori, una concentrazione del potere: l’uomo si trasforma nell’appendice della megamacchina, una rotella della burocrazia; a noi spetta il compito di aumentare la conoscenza di ciascuno, permettendo a ciascuno di esprimere la propria creatività senza togliere lo stesso spazio di azione e di produzione agli altri5, aspirando a quella autonomia del vivente di Varela e Maturana6.  La società conviviale è una società in cui lo strumento moderno (anche qui, qualsiasi strumento) è utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un corpo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni: lo strumento è conviviale nella misura in cui ognuno può utilizzarlo, senza difficoltà, quando e quanto lo desideri, per scopi determinati da lui stesso; l’uso che ciascuno ne fa non lede l’altrui libertà di fare altrettanto, né occorre un diploma per avere il diritto di servirsene. Tra l’uomo e il mondo, è conduttore di senso, traduttore di intenzionalità7. L’uomo o la donna che trovano la propria gioia nell’impiego dello strumento conviviale Ivan Illich li chiama austeri, o come diremmo noi, sobri. Il passaggio da una vita nuda (zoè) votata alla produttività e agli obiettivi da raggiungere a una vita piena (bìos) deve affrontare il faticoso cammino della convivialità, che è la comunione – la condivisione – degli strumenti che ci permettono di esprimere la nostra presenza nel mondo, e di conseguenza della sobrietà che è porre un limite a sé stessi per fare spazio all’Altro. Il nostro convivium, da questo punto di vista, è insieme privato e politico, personale e impersonale: è un vivere assieme che interroga il nostro impatto sugli altri, sia che si tratti di consumare alcol o altre sostanze sia che si tratti più generalmente di autolimitare il nostro desiderio di potere e controllo nei confronti altrui.

Siamo qui allora a con-vivere slanciando nel futuro l’idea che Tiziana ci ha donato, fondata sulla sua esperienza di vita: un’esistenza donata in gran parte al bene comune, che ha fatto della sua esperienza alcologica uno strumento conviviale da condividere con chiunque lo desideri. 

Quindi: conviviamo e continuiamo con coraggio tenendo per mano la nostra amica Tiziana, senza farci tentare dal sospetto che lei non sia più lì accanto a noi come Orfeo con Euridice, girandoci spaventati a controllare, ma camminando con lei verso la luce attraverso tutto ciò che ci ha restituito: il suo impegno, la sua passione.


1Byung Chul-Han, Vita contemplativa o dell’inazione. Nottetempo Ed, 2023.

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3ibidem

4Ivan Illich, La convivialità, traduzione di Maurizio Cucchi, 1974ª ed., Mondadori, 1973

5ibidem

6F. Varela e U. Maturana, Autopoiesi e cognizione. Marsilio Ed. 2001

7ibidem