Etica, cura, inganno.

Scuola primaria 30 marzo 2023

“La grande iattura della nostra epoca è proprio che la politica pretende di fornirci insieme un catechismo, una filosofia completa e persino, a volte, un’arte d’amare” 

A. Camus

La sollecitazione a questo intervento proposto alla scuola primaria di giovedì 30 marzo è nata una volta di più da Franco Marcomini e dalla frequentazione condivisa del ciclo di conferenze “Questioni Filosofiche” promosse dal Centro Universitario di Padova. Il tema affrontato quest’anno è l’inganno; la relazione di sabato 25 marzo 2023 era intitolata “Si può ingannare il popolo?” a cura del professor Pierpaolo Cesaroni, docente di filosofia politica all’università di Padova.

A proposito di aspettative, devo dire che mi ero immaginata un excursus attraverso i teorici politici degli ultimi due secoli, letti e proposti attraverso un contemporaneo. 

E invece il punto di partenza del docente era spostato più indietro nella linea cronologica, al XVIII secolo, al secolo dei Lumi. Fu senza dubbio un movimento nella cultura filosofica e politica, forse non così “luminoso”, confuso da una luce accecante che ha propagato un nitore che non ha lasciato spazio alle ombre del dubbio, per protrarsi nell’oggettivante positivismo ottocentesco, per molti versi rivoluzionato nel Novecento, con il suo carico di tragicità che sembriamo voler far durare ancora. Rivoluzionato, appunto, ritornato su se stesso e non in rivolta. Il riferimento è all’opera di Albert Camus “L’uomo in rivolta”, del 1951.

I pensatori cui il relatore ha fatto riferimento hanno sviluppano il quesito del titolo, che noi tutti, qui ed ora, abbiamo il compito di attualizzare. Se ci pensiamo, il pretesto come “un concorso di idee” di un’Accademia settecentesca – la prima ad occuparsi di scienze naturali e scienze umane insieme – da cui il relatore ha preso spunto per citare filosofi noti come Kant, Hobbes, Condorcet, Rousseau, sorvolare forse ai miei occhi sbrigativamente su Hannah Arendt, e poi – fra i contemporanei – approdare a John Rawls, sembra offrire spunti al pensiero. Nella nostra scuola primaria e nel laboratorio non ci sono premi né diplomi, ma fioriscono le idee o almeno facciamo il possibile perché ciò accada per ciascuno. Forse questa parte di eredità illuminista, per rimanere nel punto di partenza della relazione di sabato, può essere fra le più feconde, pur con i limiti astratti e dottrinari degli -ismi: femminismo, schiavismo e sua abolizione, assemblearismo, e proclamati a gran voce, fra molte teste cadute, i diritti dei cittadini. Con tutta la cecità e la contraddizione che sono ancora oggi insite nel diritto, nella cittadinanza. Nel contrasto e attacco mortificante, oggi, a molto, troppo di quanto costituisce la Vita nelle sue espressioni molteplici e multidimensionali, a partire da cura e cultura, che sono inscindibili e che ci accompagnano, credo e spero, nel percorso di cura nei Club, anche se fatichiamo a comprendere la preziosità del diritto-dovere di auto promozione e auto tutela della salute, globalmente intesa anche come compresenza di disagio e benessere. Di ricerca nonostante dolore e sofferenza.

La conferenza di sabato scorso ha considerato le concezioni del popolo come infante guidato da un governo paternalista, che lo indirizza verso il bene, verso la verità, sul potere politico, sulla capacità del linguaggio di influire sulla realtà, per addentrarsi poi molto sulla questione della rappresentanza nelle istituzioni democratiche, sul voto quale strumento di scelta per la guida, sul legislatore nel senso, così ho forse capito, del giurista che, ancora una volta guidi e orienti la volontà del popolo.

Dall’ascolto si esce sempre turbati, in crisi. Così mi sono sentita, pur nella chiarezza espositiva del relatore, a tratti assertivo, quasi apodittico. 

Per quanto sono riuscita a comprendere, il quadro delineato non ha lasciato spazio all’etica, solo si è accennato alla componente morale dell’inganno quale artificio che occulterebbe la conoscenza del bene.

Un riferimento concreto della contemporaneità scelto dal relatore, i “Pentagon Papers”, documenti di analisti inerenti la guerra degli Stati Uniti in Vietnam relativi alle strategie interne di governo, trafugati e in parte resi pubblici sulla stampa, è un esempio di ricorso alla menzogna governativa.

Praticata in ogni paese, con sistematicità che si fa più acuta e grave quanto più le crepe aperte e i contenuti svelati minacciano i poteri politici, economici e i loro sostenitori-finanziatori o il cosiddetto ordine costituito. L’Italia non ne è stata e non ne è immune.

È il tempo di interrogarsi sulla concretezza del nostro ascolto, delle parole, della scomposizione di tutti i fenomeni a cui ci esponiamo: può esistere “il” bene, “la” verità, se ne può dare un’essenza o viviamo esperienze di bene e di verità – così come di inganno, di menzogna – tante quante sono le loro concrete occorrenze, le diverse e molteplici situazioni e le relazioni che le incarnano? Andare al Club ciascuno per sé insieme agli altri, nella condivisione che proclamiamo, contribuisce alla composizione del mosaico, fa sì che le suture restino evidenti anziché nascoste da espedienti di breve durata e dubbia efficacia, nascoste dall’efficientismo, dallo slancio dettato dall’emergenza? Non siamo forse ciascuno un’”emergenza” che dura quanto le nostre singolari, brevi ma singolarissime vite?

Come quando ci siamo trovati a riflettere sul potere, occorre considerare la possibilità di riconoscere l’inganno e la menzogna a partire da noi stessi, prima di attribuirla ad un nemico costruito con quelle stesse forze ingannevoli con cui pretendiamo di governare scelte e decisioni, attrazioni per la devianza mascherate da moderazione composta, pronta a cadere al primo soffio di vento. Riprenderei brevemente per poterlo sviluppare insieme, il riferimento alla “servitù volontaria” formulata a metà del XVI secolo da un giovanissimo Etienne de la Boétie, amico di Montaigne, che lo ha scritto sul nascere dell’assolutismo.

Scrive a proposito dei tiranni: “…più li si serve e più diventano potenti, forti e disposti a distruggere tutto; ma se non si cede al loro volere, se non si presta loro obbedienza allora, senza alcuna lotta, senza colpo ferire, rimangono nudi e impotenti, ridotti a un niente proprio come un albero che non ricevendo più la linfa vitale dalle radici subito rinsecchisce e muore”.

E, sul tema dell’obbedienza, si leggano le parole lucide e durissime di don Lorenzo Milani in merito all’obiezione di coscienza e al processo che ne derivò a suo carico (risultò “persona non punibile perché il fatto non costituisce reato”). Basti solo una sua frase: “Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com’è complessa la verità”.

Avverto spesso intorno la seducente diffusa attrattiva della chiusura, talvolta del rifiuto, mentre penso per esempio all’imperio prepotente che misure governative, non importa messe in atto da quale rappresentanza politica, soffocano persone, terre, acque, lavoro, iniziative contrarie a qualsiasi pulsione vitale. Sembra che non ci riguardi quando avviene lontano e se accade vicino, ancora sembra che non ci tocchi. Possibile che sia solo quando il perturbante accade in casa, ma neanche sempre? Che tipo di ricerca e di cura mettiamo allora in atto, per noi stessi e per le persone che immaginiamo di amare? 

Credo molto opportuno continuare nel percorso di cura proposto dai Club e comprendo forse qualcosa di più di quando ci sono capitata: la chiusura cui accennavo mi interpella in prima persona: l’esperienza mi pone all’attenzione una miriade di comportamenti che hanno il sapore aspro della rinuncia, della stanchezza, dell’indifferenza che hanno solo in parte a che fare con le situazioni di disagio. In quell’increspatura esistenziale spesso amiamo sostare, adagiarci con molte scuse… ci auto inganniamo impiegando svariate energie, sottraendole allo sforzo dell’”alzarci e camminare”.

I passaggi hudoliniani da “malattia” a “stile di vita” ne rendono conto, ma non sono sufficienti. Occorre renderli responsabilmente concreti, liberando – questo è ciò che sento vero per me – oltre che alcolismo e malattia, il grande spettro della paura (non la cautela prudente): quella di perdere, di evolvere, di fallire, di abbandonare quanto ha segnato i passi precedenti. Di andare verso la conversione, il cambio di passo e di sguardo che, attraverso la coscienza di appartenere ad un contesto infinitamente più ampio delle personali e incomplete identità che spesso ci ingannano, ci faccia protagonisti di una cura autentica, profonda, interminabile, incontro evolutivo in continua ricerca e conoscenza.