Annunciazione: obbedienza ad un messaggio

Nel mese di marzo, oltre che in altre ricorrenze, la liturgia cristiana propone l’Annunciazione, con il Vangelo di Luca (Lc 1,26-38).

L’iconografia pittorica successiva al Medioevo ci ha abituato al connubio fra Annunciazione e prospettiva lineare, l’”invenzione” pittorica del XV secolo che si sforza di costruire uno spazio misurato e misurabile dall’uomo, uno strumento che renda possibile un rapporto fra lo spazio e le figure che in esso si raffigurano o rappresentano.

Gli storici dell’arte sottolineano le bizzarrie della forma prospettica, nei suoi elementi costitutivi: punto di fuga, linea d’orizzonte, linee di fuga. Ordine e disordine convergono nelle più celebri Annunciazioni. Del resto, nell’occorrenza dell’annuncio portato dall’angelo Gabriele a Maria come far coesistere la contraddizione fra la visibilità del messaggero e della giovane donna e l’invisibilità dell’Incarnazione? Maria stessa si recherà a trovare la cugina Elisabetta, già prodigiosamente gravida in età anziana e quella “visitazione” sarà un concreto incontro di corpi femminili che si apprestano a dare vita. Mirabili i versi di Rainer Maria Rilke: “Ciascuna, colma del suo tempio, nella compagna sua si riparava”.

Nel gioco delle sproporzioni interessa qui porre in risalto senza pretesa alcuna verso le arti pittoriche, matematiche, architettoniche o i dettami teologici, come il messaggio perturbante che irrompe nella vita di Maria di Nazareth possa farsi esempio per ciascuno di una chiamata all’agire etico, tema sul quale i Club stanno riflettendo in vista del Congresso di Assisi del prossimo maggio.

Torno brevemente alla pittura, ad un affresco del frate domenicano Beato Angelico: l’Annunciazione che si trova nel fiorentino Convento di San Marco. Salita una scala, all’entrare in un corridoio che porta alle celle, alzando lo sguardo, si incontra un’opera ricca nella sua essenzialità. Secondo uno schema che data dalle catacombe romane, vi sono ritratti l’angelo e la giovane donna, inclusi qui nello spazio architettonico di stile rinascimentale: volte, colonne e capitelli accolgono l’incontro dell’Annunciazione. A differenza di altri celebri opere sul tema, sembra esistere qui una simmetria piena nella postura delle due figure, con le braccia incrociate in grembo, lo sguardo al volto dell’altro, nessun attributo fastoso ad eccezione delle vistose ali. Quasi un’istantanea colta nell’intervallo di stupore fra la parola di Gabriele e l’altra, la prima di Maria, la prima delle sette di Maria – come studiate da mons. Ravasi in Le sette parole di Maria – che fra stupore e fiducia, dubbio umanissimo, turbamento virginale e fede accoglie l’annuncio in piena, umile, libera obbedienza al Signore, al Dio che – a partire dal suo fiat – ella genererà.

E sul “generare Dio” il rimando va all’omonimo saggio di Massimo Cacciari.

La Scrittura ci fa incontrare in Abramo quale modello di ascolto obbediente (“Eccomi!” Gn,22,1). Il cattolicesimo considera Maria di Nazareth colei che perfezione l’obbedienza della fede.

Quale messaggio, quale annuncio siamo in grado di riconoscere nel nostro quotidiano fatto per lo più di ripetizione senza riflessione? Come ci poniamo di fronte al turbamento che irrompe inatteso? Siamo capaci dell’umiltà necessaria a fare spazio alla diversità da noi e a lasciare che un tempo diverso dal nostro si compia?