Vita e Natura. Etica ed ecologia del diritto. 

Vita e Natura. Etica ed ecologia del diritto, ovvero accogliere e farsi scuotere dal Perturbante, destigmatizzando la diversità in un percorso di cura che restituisce la parola ai silenziati dalla presunzione della normalità. 

I club, comunità relazionali nella condivisione, sono pronti a cambiare la cultura del diritto individuale ed egocentrico, estraneo alla centralità del bene comune? Come fare, tra scienza, esperienza, politica ed apprendimento?

Il Perturbante, colui che bussa alle porte della consuetudine, svelando il dischiudersi di una diversità rimossa, la sorpresa, inevitabile, nel corso di una vita trascorsa in un conformismo apparentemente quieto nel quale l’imprevedibilità non trova accoglienza. La Diversità, silenziata da una cultura che pretende di poter definire la normalità all’ombra di una scienza paludata che non lascia alcuno spazio al dubbio fecondo. La Devianza stigmatizzata e sacrificata da una presuntuosa ed ipocrita morale che riprende antiche consuetudini che nel Testo Sacro troviamo nelle posture esistenziali dei farisei, dei dottori della legge e degli anziani del tempio. 

Scienza, morale e conformismo ideologico e religioso concorrono a definire un ambito di normalità entro il quale viene definito il diritto individuale, discrezionale e non subordinato al bene comune. L’ecologia applicata al diritto allarga i confini della rispettabilità della dignità umana, scardinando il consolidato sistema di pregiudizi che finisce per giustificare l’ingiustizia sociale ed economica, la devastazione dell’ambiente, l’alienazione dell’Altro nelle sue sfumature espressive, non conformi ad aspettative consolidate nel senso comune che, quasi sempre, ha definitivamente divorziato con il buon senso.

Quali pratiche di cura si rendono necessarie per adempiere ad una visione che ci spinge a sconfinare dall’individualismo autoreferenziale e conformista? Quante tracce rimangono ancora nella nostra cultura e nella coscienza collettiva, fino ai più intimi aspetti personali del nostro vissuto esistenziale, dell’ipocrisia di un’etica giustapposta e confusa con una morale, che limita i diritti svelando la rabbia aggressiva verso le sfumature nella diversità dell’Altro? Siamo pronti a nuovi percorsi di cura che aprano alla disponibilità autocorrettiva nella relazione costituente identità variabili e costantemente in trasformazione e quindi generative di perturbanti approssimarsi dello sconosciuto nel già noto del domestico? 

Quante volte abbiamo sentito riproporre, nei percorsi di cura, il desiderio di riportare l’Altro da curare a quello che era, per come lo avevamo conosciuto? Quante volte si sono svelate, nelle officine di riparazione del diverso e del deviante, le aspettative di ricondurre l’Altro ad una normalità, pienamente espressa nella retorica dei valori, nella quale non sia più di scena l’irruzione Perturbante dell’imprevedibile? 

Sono solo alcune delle domande possibili che non hanno risposta, ma che invocano la disponibilità a farci perturbare, facendoci scuotere fin dalle nostre radici di solide convinzioni che segnano i limiti della nostra variabilità. 

Ma l’etica ci chiede anche di sconfinare da noi stessi, meditare e trascendere verso uno spazio nel quale, liberati dai vincoli del conformismo collettivista, attingiamo al “sacro”, all'”impersonale”. Apriamo lo sguardo alla nostra appartenenza ecologica, essere natura nella natura, ponendo i limiti del nostro agire oltre il diritto individuale, sempre subordinato alle variabilità del potere dominante. L’ecologia del diritto non ha poteri discrezionali, antropocentrici e conformisti che ne possano irrigidire la potenzialità co-evolutiva, ma agisce in un’appartenenza che ci consegna ad una unità nella diversità, non definibile, aperta dialogo e capace di dare la parola ai silenziati di turno, Perturbanti inconsapevoli ed imperfetti che svelano l’insensatezza dei deliri di perfezione generati da chi disconosce la fecondità dell’imperfezione, che flessibilmente si barcamena tra i marosi dell’ambivalenza, innegabile condizione umana che dovrebbe spingere a non giudicare e non condannare il prossimo. 

Chi siamo noi per giudicare?