L’idiota

«È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? Signori miei,» gridò egli improvvisamente, rivolgendosi a tutti, «il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza! Ed io, invece, affermo che ha di questi pensieri frivoli perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato, me ne sono convinto definitivamente non appena lo vidi entrare qui or ora. Non arrossite, principe, altrimenti mi farete pietà. Quale bellezza salverà il mondo?»

Da L’idiota di Dostoevskij

Con queste parole sbeffeggianti il cinico personaggio Ippolit mira forse a sottintendere una risposta al famoso interrogativo del principe Myskin: sarebbe ridicolo solo pensare che il mondo sarà salvato dalla bellezza; l’unica scusante che riesce a trovare per un pensiero del genere è quella dell’innamoramento, quasi fosse uno stato di ebrezza che ti permette di straparlare per poi rimangiarsi tutto appena gli effetti dell’alcol passano. Il cinico viene definito da dizionario come indifferente ai sentimenti e alla morale comune, privo di sensibilità, ma io mi chiedo se sia davvero possibile un essere umano senza sensibilità oppure se egli non sia stato de-sensibilizzato in qualche modo rendendogli impossibile anche solo l’idea di bellezza come salvezza, in quanto non sarebbe comunque capace di coglierla e facendo così di lui un escluso dal regno dei “buoni”, dei salvi, dei “belli”.

Ma esattamente di quale bellezza stiamo parlando? Un bel paesaggio aperto o il bel viso di un giovane in salute? Si riferisce alla sensazione di euforia che si sente quando siamo davanti a qualcosa di piacevole? Abbiamo discusso molto a proposito di queste domande durante il seminario domenicale su “dimensione estetica e competenze relazionali” con il prof. Sergio Manghi che pare essere, a mio avviso, di un’opinione diversa rispetto a quella di Ippolit; il professore chiamerebbe forse la posizione di quest’ultimo “anestetica”, cieca alle relazioni che permettono di stabilire limiti e connessioni senza i quali sarebbe impossibile la percezione di differenza – poiché dove c’è relazione c’è un “tra” -. 

Sarà scontato dire che assieme alla bellezza viene -appunto- la sensibilità, in quanto è attraverso i sensi che noi cogliamo ogni cosa, e la cultura occidentale alla quale noi apparteniamo ci ha insegnato che la sensazione è passiva – i nostri organi percettori aspettano pazientemente che qualcosa o qualcuno incontri il proprio raggio di azione – mentre una nuova visione ecologica (che insieme stiamo faticosamente cercando di promuovere) suggerisce che la sensibilità è azione attiva perché ci colloca in una proiezione costante e continua nel tracciare le differenze, le connessioni, le relazioni.

Secondo G. Bateson qualcosa è estetico in quanto sensibile alla struttura che connette, capace di responsività intesa come attitudine a percepire incessantemente, e mi chiedo se sia proprio questa la bellezza alla quale si riferisce il principe Myskin e che Ippolit tanto deride. In una realtà che spinge sempre di più a quantificare le proprie vite in modo da rendere fruibili i diversi aspetti – quanti gradi di istruzione, quante certificazioni linguistiche, quante voci sul curriculum, quante foto presenti sul social network – viene facile pensare che solo un “idiota” potrebbe credere in una sciocchezza come quella e non certo una persona performativa, in carriera, bene inserita in ciò che la nostra società ha da offrire. 

Sento dunque di riferirmi a noi membri di club come a dei perfetti “idioti”, che la vita ha fatto inciampare e fermare a discapito della somma di quantità dei risultati ottenuti ma che forse possono guadagnare in qualità, in sensibilità oppure come direbbe il prof. Sergio Manghi in capacità a muoversi in danze interattive attraverso azioni che creano e ricreano nuovi pattern, nuove relazioni, nuove idee e – perché no – nuove bellezze.