La pace di Sergio, la Costituzione di Felipe

Il tradizionale messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica italiana appare estremamente ricco e per nulla retorico, nell’accezione negativa di /persuasione ornata/. C’è poco da persuadere, molto su cui esortare: questo muove la riflessione di Sergio Mattarella del 31 dicembre 2023. 

Partendo dalle considerazioni sulla guerra, sulla violenza della guerra, egli incardina e dipana tutto il possibile di cui farci carico responsabilmente.

Una struttura discorsiva che potrebbe parere astratta si fa prassi nella manifestazione testuale che realizza effetti di senso. Composta da frasi brevi e raggruppate in paragrafi scorrevoli, esplicita nella grammatica di superficie – dove predominano molti enunciati che descrivono “lo stato delle cose” che il presidente afferma nella propria competenza istituzionale – e pone in risalto le molte forme dei contenuti drammatici e dis-umani cui ci richiama.

In parte riferito alle eterne polarizzazioni che feriscono la Spagna, il messaggio natalizio del Re Felipe VI di Borbone ha richiamato la Costituzione (1978) quale imprescindibile ancoraggio all’unione e alla convivenza democratica.

Un periodare corposo, dal tono confidenziale e insieme fastoso, con molti richiami al presente, al passato e accenni inevitabili al futuro. La celebrazione anche autoreferenziale del sovrano ingloba i sudditi nel proprio riflesso aureo e paternalistico e li incoraggia a non distogliere l’impegno alla coesione: nella diversità, di certo plurale, tutta spagnola.

La prospettiva tematica è data, come detto, dalla Costituzione, di trent’anni più recente rispetto a quella italiana del 1948, analogamente fondante la transizione post-dittatura, franchista e fascista e anche solo perciò degna di attenzione, di ascolto.

Di certo il Re non può approvare il movimento secessionista e separatista catalano, nella forma di strappo violento intensificatosi dal 2017, al di fuori delle regole costituzionali che negano la secessione stessa. 

Eppure il procés, il processo indipendentista catalano, contiene i germi sociali e politici per sostenere, per esempio, l’allontanamento dalla deriva autoritaria; è un movimento complesso che, al di là delle inevitabili strumentalizzazioni, incarna il senso autentico del conflitto (come discusso da M. Benasayag), situando l’azione politica nella situazione.

La chiamata al “Processo Costituente in Catalogna” promosso da Arcadi Oliveres e Teresa Forcadesnell’aprile del 2013 resta forse l’esempio più luminoso di invito alla lotta dal basso, unitaria e trasversale, dove le assemblee di base e l’auto-organizzazione sono state rivitalizzate nella tensione verso un modello sociale che “si rifiuta di separare la libertà dalla giustizia e dalla solidarietà” (dal Manifest).

La forma istituzionale dei due “messaggi”, così si chiamano entrambi, pronunciati dai rispettivi capi di stato italiano e spagnolo nella ritualità in evoluzione che ciascuno dei due soggetti indirizza all’uditorio potrà essere analizzata di certo con maggiore capacità rispetto a questi spunti che ho sentito di proporre. Non come modelli di oratoria, ma quali espressioni culturali che permettano la riflessione, l’azione che promuove crescita e maturazione.